Avere coraggio e scegliere le misteriose strade secondarie

Il mio digital detox non è stato pianificato, ma imposto (grazie, Punkt.!) Non mi ero resa conto di avere un problema di dipendenza dal digitale finché non mi è stato tolto lo smartphone.  So che sembra molto drammatico, ma è stato proprio così.

Sono  una designer freelance brasiliana, sto facendo un master e vivo  in Sicilia dall'ottobre del 2017. Sembra tutto perfetto, lo so, e il mio account Instagram era pieno di foto cool e un po' hipster, selfies e cibo. La mia pagina Facebook aveva un sacco di commenti e osservazioni argute sulla mia vita pittoresca in Sicilia, le differenze culturali, gli arancini e il mare. Passavo molto tempo online a condividere la mia esperienza italiana con amici e familiari in Brasile. Pensavo fosse l'unico modo di rimanere in contatto con loro. 

Offline, però, la vita non era affatto impeccabile. Facevo fatica. Ovviamente ero felice di aver potuto trasformare la mia vita completamente, grazie all'aiuto e al sostegno della mia famiglia. Solo che avevo sottovalutato quanto potesse essere difficile adattarsi.

Ricominciare da zero non è facile. È complicato lasciarsi una vita più o meno strutturata alle spalle e imbarcarsi in un'esperienza inaspettata e non programmata. Mi ero ritrovata piena di dubbi e ripensamenti. Stavo facendo la cosa giusta? Non sarebbe stato meglio tenere il mio vecchio lavoro? Ero troppo ambiziosa? Dovevo affrontare un sacco di sfide – la lingua, lo stile di vita, essere considerati estranei, e in più la paura generica dell'ignoto, di non sapere dove la vita mi avrebbe portato. A dicembre avevo cominciato a pensare di ritornare in Brasile, alla mia vecchia vita, al mio vecchio lavoro.

Dovevo affrontare quello che definivo il dilemma di Scooby-Doo: imboccare la strada libera, ben illuminata, il sentiero con cui si ha più familiarità e che si sa dove arriva  – sicuro, prevedibile e ‘okay’, o essere coraggios e scegliere la misteriosa strada secondaria che porta chissà dove? Sarà una sfida maggiore, su quello non c'è dubbio. Non hai idea di dove ti porterà, magari a grande avventure e tesori, oppure potresti ritrovarti davanti a delusioni e ostacoli – a differenza delle serie TV, il lieto fine non è garantito.

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A febbraio avevo deciso di rimanere, pur non sapendo come migliorare la mia situazione in Italia. Sapevo di dover fare qualcosa, sviluppare una strategia. Quando ero arrivata al workshop di Punkt., Social Branding, a Catania, erano questi i temi che dovevo affrontare.

Il corso era guidato da Marcia Caines di Punkt. Per prima cosa ci ha chiesto quale era stato il nostro proposito di Capodanno. Lo sapevo bene: per il 2018 volevo essere ben integrata in Italia e provare la sensazione di appartenere a questo luogo, insomma, sfruttare al meglio la mia esperienza all'estero. Poi ci aveva chiesto di pensare a delle parole chiave, delle strategie che ci aiutassero a raggiungere il nostro scopo. Le mie risposte: empatia, per capire e rispettare le differenze culturali; coraggio, per mettermi alla prova e affrontare situazioni inaspettate; amore per me stessa anche quando mi sembrava di non avercela messa tutta o di non essere riuscita in qualcosa, e connessione, per trovare un modo di comunicare con le persone in Italia. 

Poi, per farci capire meglio il prodotto (era un corso di design, dopotutto), Marcia ci aveva chiesto di lasciare spenti i cellulari per tre giorni e usare l' MP01.

Ero stata presa dal panico.

Dovevo parlare con i miei amici, la mia famiglia. Non posso certo andare a pranzo da mia madre e sapere tutte le novità di famiglia, no? Non posso mandare messaggi in Brasile o telefonare alla mia migliore amica mentre aspetto di buttare la pasta, giusto? E poi ero sicura che mia nonna si sarebbe agitata. Mi chiama sempre su Facebook e Marcia, vuoi davvero farmi fare questo scherzo a un'ottantenne? E come avrei potuto condividere le mie avventure con i miei amici a casa? Come potevano resistere senza sapere cosa mangiavo per pranzo?

Il primo giorno era stato un inferno, non sapevo come contenermi. Sentivo suoni di notifiche inesistenti e mi allungavo a prendere un cellulare che non era nemmeno acceso. Con il passare del tempo, avevo cominciato a notare i momenti in cui afferravo istintivamente il telefono: quando ero annoiata, quando ero sola (cioè quasi sempre), quando c'era un silenzio imbarazzato, quando mi sentivo a disagio, quando volevo evitare l'interazione sociale. Mi sentivo davvero vulnerabile ad andare in giro senza smartphone e no, non era per niente facile. Marcia mi aveva tolto la mia àncora di salvezza.

In quel periodo mi ero resa conto di aver usato lo smartphone e i social media come una stampella, un modo per sentirmi meno a disagio quando mi sembrava di essere un estraneo, o una “extracomunitaria”. Era una via di fuga per me, potevo sempre afferrare il telefono e scappare nel mondo online dove c'erano i miei amici e la mia famiglia. Il che non risolveva affatto il problema di sentirmi una straniera. 

Il fatto di non avere uno smartphone che mi proteggesse da una realtà a volte opprimente mi costringeva a fare una cosa che detestavo (o pensavo di detestare), cioè intavolare conversazioni goffe con gli estranei. Quindi sì, ora dovevo parlare con varie persone e affrontare situazioni da cui avrei voluto scappare. Ogni volta che ordinavo un  caffè macchiato e il barista mi chiedeva da dove venivo, come mai ero lì, ecc., dovevo rispondere. Quando spuntavano gli stereotipi, dovevo affrontarli. Ma c'erano anche momenti divertenti, come le signore anziane al mercato che volevano parlare del prezzo del cibo. Eccetera.

Ero tornata al dilemma di Scooby-Doo: rischiare e mettermi alla prova in situazioni potenzialmente scomode o alzare lo schermo di protezione e fare la stessa cosa che ho sempre fatto, ciò nascondermi dietro al telefono?

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Qualche giorno dopo – sorpresa! – ho deciso di prolungare l'esperienza di un'altra settimana. La settimana è diventata due, e poi tre, finché mi sono resa conto che era passato un mese intero! Ormai avevo smesso di pensare allo smartphone quando uscivo di casa, e non mi mancava più quando ero in giro. Avevo imparato ad adattarmi. Avevo molto più coraggio. 

Mi sono resa conto che avevo passato più tempo a evitare le situazioni potenzialmente scomode e a proteggermi che a viverle per davvero. E le barriere che usiamo per difenderci quando ci sentiamo vulnerabili e a disagio sono le stesse che ci impediscono di goderci la vita.

Ho scoperto che sentirmi vulnerabile non è piacevole in sé, ma rappresenta una chiave per aprirsi all'inaspettato, alla magia. Quando abbandoniamo quelle barriere e ci mettiamo in situazioni che non possiamo controllare possono succedere cose davvero belle.

Certo, puoi finire per sentirti inadeguata e piangere nella doccia, ma potresti anche incontrare una persona simpatica, fare una chiacchierata piacevole e scoprire una parte della città che non conoscevi. E sai una cosa? La prima opzione non succede quasi mai, e se capita, sembra piccola e insignificante se paragonata alle cose piacevoli che possono succedere. Se non affrontiamo la paura di percorrere la strada che non conosciamo, tutto rimane prevedibile. E ho scoperto che la prevedibilità, oltre ad essere molto noiosa, è anche il nemico numero uno delle avventure.

Non avere uno smartphone sempre con me mi aiuta ad aprirmi alle sorprese e sento di aver imboccato la strada giusta per realizzare il mio proposito. Già ora mi sento meno straniera e il mio italiano è migliorato parecchio. Parlo con le persone, faccio nuove amicizie in posti insoliti, e no, mia nonna non si è agitata. Quando vado a casa, le parlo su Skype e le racconto dei nuovi posti che scopro e di tutte le persone che incontro.

Quindi se dovessi aggiornare la lista di parole chiave che ho scritto per Punkt., aggiungerei vulnerabilità. L'atto di abbandonare volontariamente le stampelle sociali, le abitudini e tutto ciò che usiamo per proteggerci da un potenziale, vago imbarazzo

Nel mio caso, la difesa era lo smartphone.

Ovviamente l'MP01 non ha fatto miracoli, ci vuole molto lavoro e impegno per cambiare il modo in cui vediamo il mondo. Non è successo da un giorno all'altro – mi ci è voluto più di un mese ed è un processo che continua. Non è sempre piacevole e di certo non è facile ma posso dire che avevo bisogno di una piccola spinta, e me l'ha data Marcia insieme alla sfida MP01.

È stata un'esperienza che mi ha cambiato la vita. Di sicuro non è uguale per tutti, ma non si può sapere se non si prova.

Non avevo mai pensato che la vulnerabilità potesse essere così divertente. 

Marilia Traversim
San Paolo, Brasile

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